di Massimiliano Padula*
Vedere la performance di Suor Cristina a “Ballando con le stelle” suscita un caleidoscopio di stimoli e riflessioni. Non tutti positivi, però. La suora carina, dolce, innamorata di Gesù, cantante, ballerina e, chi più ne ha più ne metta, da qualche anno bazzica nello star system di secondo livello. Dopo aver vinto legittimamente un talent show, dopo aver interpretato a teatro una suora (vera) tra le suore (finte), nella versione italiana del musical Sister Act, l’Orsolina della Sacra Famiglia è scritturata per lo show dell’ammiraglia Rai del sabato sera. Nulla di male, senza ombra di dubbio. Ogni critica viene a sua volta criticata e a noi – come afferma sempre suor Cristina – non ci interessa. Ma non è questo il punto.
La questione da sottolineare è la distorsione di una testimonianza di fede che rischia di tradursi in macchietta di maniera. Suor Cristina – non ce ne voglia – è (diventata) stereotipo, caricatura di una rappresentazione di Chiesa pseudomoderna. Come se ballare e danzare fossero novità e non espressioni di fede arcaiche, tradizioni liturgiche consolidate. Ma chi decide per lei sembra dimenticarsene riducendo la piccola suora di Comiso a fenomeno da studio televisivo, a vaso di Pandora dal quale far fuoriuscire il campionario di banalità (basta ascoltare i commenti dei giudici subito dopo la sua esibizione) che la dipingono come nuova icona di una contemporaneità religiosa rivoluzionaria e fuori dagli schemi.
È un dispiacere assistere allo snaturamento mediatico della bellezza integrale di quella che prima di essere suora è una donna. Ma – si sa – i meccanismi televisivi sono funzionali agli ascolti e la creazione di maschere da vendere al pubblico diventa la priorità. Esempio è la scelta (ipocrita) di farla ballare in gruppo evitando il contatto fisico con l’altro sesso. Poco altro da dire se non una semplice speranza: (continuare a) vedere in televisione Cristina trattata per quella che è ossia una donna a cui Dio ha donato dei talenti straordinari.
*Presidente Copercom