«La colpa non è dei media, ma è soltanto nostra che abbiamo messo da parte quanto, con fatica, avevamo conquistato nel corso dei secoli. Intelligenza, selezione, discernimento, solidarietà, rispetto della dignità della persona sembrano categorie dimenticate, scalzate inesorabilmente da indignazione, chiusura, divisione, condanne, offese». Ad affermarlo è Massimiliano Padula, presidente del Copercom, in una lettera/editoriale al direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio pubblicata oggi, 7 settembre 2018, sul quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana.
Padula, prendendo spunto dalle contrapposizioni generate dalle tante vicende che riguardano i migranti e i territori martoriati dalla guerra, evidenzia come il lavoro scrupoloso dei cronisti sia messo spesso a repentaglio da reazioni ostili a prescindere. Si tratta di fatti drammatici – scrive il presidente del Copercom – «centrifugati da un pubblico sempre più frammentato e privo di identità. E di cui facciamo parte certamente noi comuni cittadini, frequentatori autorevoli o maldestri di reti sociali. Ma in cui rientrano, in una sorta di gioco di ruolo al massacro, anche i cosiddetti attori istituzionali (politici, altri media) che preferiscono spogliarsi delle vesti esclusive di opinion leader per combattere alla pari nell’arena dell’insulto e dell’odio». Viene così a crearsi quello che il presidente del Copercom definisce “effetto Dogville”, prendendo spunto da un film di Lars Von Trier uscito nel 2003: «Un luogo monodimensionale in cui tutto è riconoscibile tranne il cuore dei suoi abitanti, il loro dolore e la verità della loro esistenza. Dogville diventa così una delle metafore del tempo presente: una società in cui le sfumature lasciano il posto al bianco o al nero, a un’idea o al suo esatto contrario. E nella quale un migrante diventa o una minaccia da eliminare oppure il vessillo autoreferenziale in nome di una accoglienza senza criteri».
Padula, infine, fa due richiami: il primo alla necessità di educazione a processi “buoni” dell’esistenza che sembrano essere dimenticati. E, nello stesso tempo, chiede di aggrapparci a «quella categoria che può sembrare l’anticomunicazione per eccellenza, ma che, invece, diventa il riflesso della meraviglia dell’attesa di un mondo che non può ridursi a una comunità aperta a tutto e poi disattenta all’essenziale: quel silenzio – conclude il presidente del Copercom – che, come ha detto papa Francesco, resta l’unica soluzione quando prevale questo modo di agire e di non vedere la verità».